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TIMIDEZZA

Quando racconto le capriole che ho dovuto fare, per convincere gli animatori a parlare, tutti credono che io esageri. Sono abituati al protagonismo dei personaggi televisivi o degli attori del cinema. Be’, occorre farsene una ragione. Gli animatori sono dei timidi.
Un articolo su un giornale li atterrisce. Un capitolo di un libro è la camera a gas. Vale per tutti.
Nascono a Los Angeles, a Teheran, a Johannesburg, a Tokyo, ma sono tutti uguali.
Pochi mesi fa incontro un maestro polacco. Parla inglese benissimo, e siamo in confidenza stretta da venticinque anni. Domando: “Ti pare buono ciò che ho scritto su di te?” Avvampa. “Non… non l’ho letto…” “Ah capisco: l’edizione inglese costa un sacco di soldi”. “No, be’, ah, l’accademia dove insegno ha una copia in biblioteca”. Lo incoraggio a seguitare. “Eh, tu, sai, sei un amico… Chissà quante lodi avrai scritto… Io non le merito”. Osvaldo Cavandoli. Nel 1971 ad Annecy, nel 1972 a Zagabria, vince il premio della critica internazionale. È rabbuiato. “Adesso, per favore, non cominciate a inventarvi che io sono chissà cosa. Io disegno, e chiusa lì”. György Matolcsy, capo per trent’anni dello studio ungherese Pannonia. “Ero un intellettuale comunista, ma dopo la rivoluzione del 1956 mi schierai contro l’invasione sovietica. Per punirmi mi fecero dirigere lo studio dell’animazione. Mi degradavano che più in basso non si sarebbe potuto… Non sono mai stato più felice in vita mia!” Animatrice britannica. Insegna animazione a Harvard, e mi scuso se è poco.
Dibattito post-proiezione. “Lei prova invidia per i colleghi del cinema ‘dal vero’ e per la loro popolarità?”
Lei strabuzza gli occhi. È genuinamente sorpresa. “Invidia? Popolarità?
Ma non ci penso nemmeno! Sto benissimo così”.
Non manca qualche estroverso, ma vi giuro: ho sempre pensato che sia un timido che ha alzato il gomito. 

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