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Nel corso dei decenni, ho conosciuto bene molti animatori.

Nel corso dei decenni, ho conosciuto bene molti animatori. Male, fra i grandi, il solo Fëdor Khitruk. Entrai a far parte del direttivo dell’ASIFA internazionale nel 1982. Prima riunione, Khitruk prende la parola, e nel suo inglese elementare ma incisivo rimprovera me e il critico jugoslavo Ranko Munitić di non scrivere abbastanza sull’animazione sovietica. Ranko Munitić, per una volta, non ribatte; io sì. “Ho spedito almeno cinquanta lettere regolarmente affrancate a cineasti… sovietici, senza risposta. Il giorno in cui avrete più postini e meno spie, scriverò di più sulla vostra animazione”. Khitruk cambia discorso. 

Per nove anni assistei alle magnifiche liberalizzazioni cui egli dava luogo nel suo Paese, e al suo duro conservatorismo estero. Non fece amicizia con nessuno degli altri membri del direttivo. Una volta tentò di infiltrare in competizione, a Varna, un film sovietico che il comitato di selezione (di cui facevo parte) aveva scartato. Proibii al direttore del festival di presentarlo. Un istante dopo, sono al giardino pubblico, e ci trovo proprio Khitruk. Mi guarda con i suoi grandi occhi bruni, poi distoglie l’attenzione e riprende a passeggiare. Io lo affianco, non parlo ma penso: “Sei proprio il solito comunista nazionalista russo”. Lui gira la testa, mi lancia un’occhiata e un mezzo sorriso. Non avrò mai la prova provata, ma giurerei che rimuginava: “Sei proprio il solito anarchico prepotente italiano”.

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